Progetti

Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della Giustizia Italiano (aggiornati al 31 dicembre 2021) sono 54.134 i detenuti sul territorio nazionale. Di questi 17.043 sono stranieri, 2.237sono donne, e ben 24.908 sono genitori.
Cosa vuol dire essere genitori in carcere?

I padri e le madri che scontano una pena in regime detentivo raccontano quanto sia complesso mantenere una relazione affettiva positiva con i propri figli.
Gli incontri all’interno del carcere, previsti dall’ordinamento Penitenziario, garantiscono il fondamentale diritto di visita in una duplice direzione: consentono alle persone detenute di assolvere le proprie funzioni genitoriali e permettono ai figli di genitori ristretti in carcere di non interrompere lo scambio affettivo e comunicativo con le figure di riferimento, fondamentali per uno sviluppo psicosociale il più possibile armonico.
Come sancito dalla Convenzione dell’ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza “gli Stati rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo” (art.9).
Gli Istituti di pena fanno propria questa indicazione e da anni mettono in atto programmi volti a garantire il diritto di visita tramite incontri tra figli minorenni e genitori detenuti. Tuttavia le problematiche relative alla dicotomia “dentro vs fuori” emergono con tutta la loro forza proprio quando ad essere direttamente coinvolte sono le persone potenzialmente più fragili per definizione, quali i fanciulli e gli adolescenti: stigma sociale, pregiudizi, stereotipi, paura e confusione sono solo alcuni degli aspetti con cui si ritrova a fare i conti la diade genitore-figlio in tali contesti.
Dal punto di vista psicologico la nascita di un Sé identitario passa attraverso il rifiuto della dipendenza dai genitori, in una continua alternanza di conflitti e identificazioni con i caregivers.
Ipotizzando uno scenario in cui gli incontri tra figlio e genitore avvengano unicamente all’interno di un setting istituzionale quale quello carcerario, è semplice immaginare come e quanto la qualità e la continuità della relazione possano essere messe a rischio.
La possibilità di coinvolgere la diade genitore-figlio in attività e momenti di condivisione potrebbe incoraggiare una dinamica di certo non semplice, e riempire di senso quello che talvolta rischia di diventare solo un impegno doveroso con cadenza regolamentata, o una scelta presa da altri.
Il recupero e la continuità della relazione tra un figlio e un genitore detenuto sono da vedersi non solo come azioni di promozione del benessere per i singoli casi, ma anche come un’azione di promozione e prevenzione sociale di ampio respiro.
Il vuoto affettivo che crea, in un figlio, la lontananza di un genitore ristretto per un periodo di detenzione (più o meno lungo), espone infatti il bambino ad un alto rischio di emulazione dei comportamenti criminosi, oltre che dei classici comportamenti a rischio tipici di un’età così delicata.
Il progetto “Genitori – Pensiamoci insieme” intende proporre attività pensate sui bisogni dei bambini e ragazzi all’interno degli Istituti di pena; nello specifico mira a creare momenti e condizioni favorevoli per la diade genitore-figlio che possano promuovere la ricostruzione o il mantenimento della relazione affettiva tra i due.

Il progetto è rivolto ai bambini e ai ragazzi che si recano in carcere a far visita ad un genitore.
Gli operatori e i volontari allentano le loro tensioni in attesa del genitore, dell’incontro e infine del distacco, proponendo attività di gioco, facilitando il crearsi di un’atmosfera familiare e distesa, organizzando con cadenza periodica iniziative alle quali far partecipare anche i nuclei familiari e che coinvolgano soprattutto i bambini. Ed inoltre strutturare attività di gruppo di supporto alla genitorialità (per genitori, genitori/figli, coppie) condotte da operatori finalizzati all’espressione e all’elaborazione dei vissuti familiari e relazionali.
Le attività potrebbero prevedere la costituzione di gruppi di genitori-detenuti, gestiti da uno psicologo e da un mediatore familiare, disponibili ad accrescere le proprie consapevolezze circa le competenze che il ruolo genitoriale richiede, affrontando, ove necessario, anche l’eventuale perdita della responsabilità genitoriale ed alla ridefinizione delle dinamiche interne ai componenti del nucleo familiare. In caso di difficoltà relazionali conclamate nella relazione genitore-figlio, lo psicologo è chiamato a svolgere un’azione di supporto ed orientamento nel corso del colloquio. In caso di conflittualità intervenuta nella relazione tra il genitore detenuto, o ammesso a fruire di misura alternativa ed il proprio figlio, interviene il mediatore familiare.
Il progetto favorisce la costruzione di una positiva relazione genitore-detenuto/bambino, necessaria sia per un’armoniosa crescita del figlio che per il recupero ed il mantenimento degli affetti all’interno del nucleo familiare.